შუალედი - დან - მდე
 
 


Luigi Magarotto - ლუიჯი მაგაროტო


IO E LA NOTTE
მე და ღამე


Mentre scrivo risplende
la mezzanotte, e  l’ora si consuma,
e la fiaba dei campi
dalla finestra m’entra con il vento.
Non si libera il mondo
da questa coltre d’argento
che cala intorno la luna.
E dondolano i rami
di  lillà per quest’alito fresco,
ed il cielo è ferito
da molti lumi azzurrini,
come cadenze ai miei versi di rime.
Pure, una luce più segreta,
più  generosa, stanotte,
trafigge l’ampia distesa.
È  tempo ormai che porto dentro il cuore
una cosa riposta,
che neppure la brezza sa carpire:
malinconica cosa
che è  nascosta perfino agli amici,
che l’estasi financo non ritrova,
nè  può  farlo l’abbraccio,
tenerezza di  donna,
o sospiro involontario
che m’agiti a un tratto nel sogno,
o calice gonfio di vino.
Ma la notte lo sa, la note chiara
che da questa finestra
penetra: notte d’insonnia,
partecipe di tutti i patimenti.
E questa notte ed io
siamo in due sulla terra, e siamo soli.


CHE ORE SONO?
რომელი საათია?

È  tardi. Insonne la tristezza
ha trascorso nel mio cuore la notte,
e  non  s’acqueta  l’amaro rimpianto.
Che ore sono? Che ore sono?

Alla  finestra  sta la notte ferma.
Anche  l’autunno  è  ormai passato
e centro rincorrerlo non  saprei.
Che ore sono? Che ore sono?

Forse solo le tre. Nel buio intorno
si  smarrisce lo sguardo e il selenzio
lacera il tredicesimo rintocco.
Che ore sono?  Che ore sono?

I  corridoi delle vie, cupi pensieri,
si  ergono ostili al vetturino notturno.
Mi  ferisce lo squillo del telefono.
Che ore sono?  Che ore sono?

Oh, Dio, perchè  questa  pioggia  nemica
scroscia come torrente di nera cuprite?
Si  farà  mai giorno questa notte ostile?
Che ore sono? Che ore sono?
È  l’ora amara e dolce dell’ebbrezza,
è  l’ora del peccato! rispose
Charles Baudelaire alla domanda
che ore sono?


SE NON È AMORE
უსიყვარულოდ

Se non  è amore
non è signore
il sole
alla cupola del cielo.
Tace il vento, e il sussulto
della selva felice
non  è, senza  l’amore,
e grigie son le cose,
ferme dentro la morte.
Pure  l’ultimo fiore,
quell’ amore  strano
che  l’autunno dischiude,
molto spesso è più buono del  primo,
perchè  sa  che i tumulti sono vani,
sa che inane
è ogni giovane ardore:
stridenti  suoni  di  voce,
barbari, non invoca
quell’amore  autunnale.
Ben diverso dal tenero
fiore di primavera,
che si strugge in ardenti  passioni,
quell’amore conosce soltanto
la taciturna carezza del vento.
Ma  anche  l’ultimo fiore,
bocciolo malinconico d’autunno,
tenero, triste
appassisce.
E sulla terra
nulla esiste,
l’immortalità  stessa,
se non è  amore.


MERI
მერი

Sei  andata  sposa  quella  notte,  Meri,
e nel  tuo sguardo dolce e assente,
colore e luce di un diverso cielo,
c’era  tristezza più che nell’autunno.

Nell’aria  tetra ed umida del tempio,
al bruciare lucente  della  fiamma,
il pallido sciame di bianche candele,
rivelava  il segreto del  tuo viso.

Risplendevano  le volte,  la  cupola,
e  profumava  tenera una rosa…
ero  certo  che  nessuna  preghiera
poteva più lenire il tuo dolore.

Ho sentito giuramenti  inconsulti
e a tutt’oggi  non  posso credere.
Io che i tormenti  li conosco tutti
non distinsi tra nozze e funerale.

Qualcuno piangeva su un sepolcro
e sperdeva al vento i suoi monili…
Regnava ovunque solitaria pena:
quell  giorno non era certo di  festa.

Uscito di chiesa, io non sapevo
dove andare nel buio d’intorno.
Un  forte vento infilava  quelle strade
e scrosciava una pioggia incessante.

Nel  pesante mantello avvolsi  il corpo
e chiesi compagnia a confuse pensieri.
Oh, la tua casa! Esausto ormai, quel corpo
appoggiai  al muro suo pietoso.

E  così me ne stetti a lungo,  triste:
cupe davanti  a me, come ali fruscianti
di  aquila, sussurravano le voci
di  foglia dei lunghi tremoli diritti.

Sussurravano le foglie di quei tremoli,
ma cosa dicevano, Meri, e perchè?
Il  destino mi aveva disdegnato
e ora si disperdeva come una  tormenta.

Dimmi perchè la luce splendeva
ora s’è  spenta, e implorare giova?
E dove sta volando questo sogno,
ala nel  vento d’un uccello nero?

Perchè ho guardato il cielo e ho sorriso?
Perchè ho colto quel raggio scintillante?
Perchè ho intonato canti da becchino?
Chi a questi  versi  miei porgerà ascolto?

Spesse gocce di pioggia, gonfie al vento,
mi  inondavano il cuore di sconforto,
e piansi come piangeva  re Lear,
come re Lear da tutti abbandonato.

     
AZZURRI CAVALLI
ლურჯა ცხენები

Come chiazza di bruma soffusa da sole al tramonto,
scintillava la riva di un mondo più eterno.
Non si vedevano pietre  a confine, barriere  o null’altro,
si percepiva soltanto un profondo, ostile silenzio.
E di quel silenzio era il gelo vagante compagno:
il mondo eterno era percorso da infinita tristezza!
Dentro il buio sepolcro hanno gli occhi perduto ogni luce;
silenzio, tenebra, freddo: anche  l’anima giace divelta!
Per foreste di alberi, scheletri, volti di folli impauriti,
più veloci, più cupi trascorrono esanimi i giorni.
Visione o sogno premonitore: azzurri cavalli
vi conducono da me a riposare, e qui tutti vi scorgo.
Il tempo fugge veloce, ma questa non è cosa triste.
L’abluzione delle lacrime non permea il cuscino dell’eternità.
E svaniscono pene e passioni, incorporee visioni notturne,
come brividi d’anima calda in ardente preghiera,
come avvampare di fuoco e destino che rapido gira,
superbi, focosi galoppano azzurri cavalli!
I fiori sono appassiti e non hanno più petali i sogni!
Ora ti resta soltanto il sepolcro, luogo del tuo eterno riposo.
Chi  riconoscerà  il tuo volto? Chi saprà e pronuncerà il tuo nome?
Chi udirà  e crederà  a così effimere, incerte preghiere?
A consolarti tu non troverai  nessun petto inatteso:
riposano in tetri meandri le tue misteriose chimere!
Il buio non può oscurare la luce della volta celeste,
e nel deserto si stagliano masse di numeri privi di corpo.
Per foreste di  alberi, scheletri, volti di folli impauriti,
giorni esanimi corrono e scendono dentro l’abisso.
Solo laggiù, nel mondo ove regna in eterno la bruma,
maledetti sulla terra oppure dentro  la tomba,
come frangersi d’onde o mutar di spietato destino,
superbi, focosi galoppano azzurri cavalli!


NEVE
თოვლი

oh, quale incanto la vergine neve,
coltre violetta che vien su dai ponti,
ma  che percezione d’umido freddo stimola,
come la rassegnazione a un consunto amore!
Cara, l’anima mia gonfia è di neve,
fuggono i giorni ed io ne sento il peso.
Nella mia terra ho saputo soltanto
correr deserti di velluti azzurri.
Ahimè, questa è tutta la mia vita:
gennaio può ben dirmi suo fratello,
ma  per sempre mi soccorrera il ricordo
delle tue bianche mani  di  neve.
Cara, osservo le tue deboli mani
recline stanche in corone di neve.
In questo deserto il tuo velo s’accende,
risplende, si  smorza e ancora splende…
Ecco perchè   m’incanta la vergine neve,
coltre violetta che  vien su dai ponti,
una tristezza,  una  folata, un turbine,
una distesa  di  giaggioli dal profumo intenso…
Neve!  Questo giorno felice mi ha coperto
d’una  rete di azzurri, stanchi sogni.
Perchè l’inverno non mi lascia libero?
Perchè il vento non cessa di ferirmi?
C’ è una strada, c’ è un gioco, ma è pur lento…
e  tu  cammini sola, completamente sola.
Amo la neve come un tempo amavo
la recondita  malinconia della tua voce.
Ero allora soavemente inebriato:
correvano  giorni  bianchi  di cristallo,
ricordo i tuoi capelli scarmigliati
e il vento che li risucchiava in un vortice…
Mi struggeva una sete, un intenso desiderio,
come un vagabondo alla ricerca di un rifugio.
Mi segue ora uno sciame di bianche foreste:
ancora io, ma sono sempre solo.
Neve! Questo giorno felice mi ha coperto
d’una rete di azzurri, stanchi sogni.
Perchè l’inverno non mi lascia libero?
Perchè il vento non cessa di ferirmi?


RIPOSANO LE AQUILE
არწივებს ჩასძინებოდათ

Riposano le aquile stanche
e quiete sono le foglie delle querce
e come vento gelido trafigge
la notte il lamento della civetta.
Riposano le aquile stanche,
ma non lo spietato destino:
lontano brilla una fiamma,
turbina un fuoco violento,
e come un covone autunnale
avvampa il bosco d’intorno.
Riposano le aquile stanche
e inseguono sogni di lotta,
e già una rossa collana di fuoco
adorna i sentieri di muschio,
sicura si dirige la fiamma
dove riposano le aquile stanche.
All’istante si destano le aquile:
„Il fuoco!“ stridono impavide,
„Il fuoco!“ geme la foresta,
„Il fuoco! “ grida ogni cosa.
E  già il fuoco ha avvolto
delle aquile le ali possenti
e ormai con le ali bruciate
il volo non resta che un sogno.
Ma il cuore chieda di volare
e cadono sfinite, impotenti
e ora lungo l’Aragvi stanche
riposano con le inutili ali.
„Ho visto un’aquila ferita
assalita da corvi e cornacchie.
Tentava  l’infelice di sollevarsi,
ma senza riuscirvi, invano…“  


L’ULTIMA CAREZZA
არდაბრუნება

Ecco la bufera ha rapito il tralcio della vite, oh natura!
Meri, desio ancora una tenera carezza, l’ultima pura?
Una coppia di destrieri, un cocchio, un amore solare: tu ti penti?
Un turbinio di colori: Veronese e Tiziano, impetuosi  torrenti!
Conosco le tue labbra e le mani! M’inseguono rose, un intenso fervore…
Oh cielo, oh poi amato la tua nobilta? Ho ricambiato il tuo amore?


BIANCHI ERANO I GIARDINI IEMALI
ათოვდა ზამთრის ბაღებს

Bianchi erano i giardini iemali,
hanno portato una bara,
ho dispiegato le bandiere
al mulinare del vento.
La strada era deserta,
senza fine, senza volto.
Hanno portato ancora una bara…
e udivo una stridio di corvi.
Suona! Racconta!
Bianchi erano i giardini iemali.


BANDIERE
დროშები ჩქარა

Il  primo albore, e  già splende una sfera di fuoco…
                                            Più in alto le bandiere!
Come la chiara fonte una schiera di renne ferite,
l’anima  assetata  bramava  la  liberta.
                                            Più in alto le bandiere!
Gloria ai cavalieri, ai martiri  per il popolo,
a chi ha versato il sangue, a chi e caduto.
Il loro ricordo e una fiaccola accesa…
                                            Più  in alto le bandiere!
Gloria a chi ci guida verso la speranza
e sa affrontare interpido il nemico.
Il primo albore. È tempo di coraggio.
In alto, in alto, in alto le bandiere!


AZZURRO O UNA ROSA NELLA SABBIA
სილაჟვარდე ანუ ვარდი სილაში

Vergine Maria, Madre Immacolata!
Dopo la pioggia, rosa nella sabbia,
un cammino di sogno è questa vita,
l’azzurro di un cielo lontano.

Vedo i  dirupi avvolti di crepuscolo,
e già penso a  splendori d’albe nuove.
Da note insonne e inebriante esausto,
vecchio fedele correrò alle icone!

da note insonne e inebriante esausto,
libererò  all’iconostasi  l’anima;
un raggio di sole nèlla vecchia chiesa,
biancheggerà  la stola all’officiante.

Dirò allora: ecco, sono qui arrivato:
dal giardino dei  sogni, cigno ferito.
Chi può con volto smunto e mani
aggrinzite godere di un tal destino?

Guarda, i miei occhi un tempo
colmi di viole e di rugiada, ora
provati dalle notti insonni e inebrianti,
si arrendono alla vendetta delle lacrime!

Si, godere… Ma poi deve un poeta
indifferente attendere tal resa?
L’anima affranta da preghiera ardente
brucia ai tuoi piedi come una farfalla.

Dove trovar riparazione degna?
Quale anima ha destini  di  letizia?
Dal paradise di Dante Alighieri
io dovrò partire per il mio inferno.

E quando su una strada maledetta
mi  verra  incontro  l’ombra della morte,
quella sara l’ultima comunione
e il tuo ricordo non potrà soccorrermi.

Con le mani incrociate sopra il petto,
con  focosi destrieri  di tempesta,
da notte insonne e inebriante esausto,
riposero per sempre in una tomba.

Vergine Maria, Madre Immacolata!
Dopo la pioggia rosa nella sabbia,
un cammino di sogno è questa vita,
l’azzurro di un cielo lontano.


LA NAVE  „DALAND“
გემი „დალანდი“

M’aveva destato  una  fiamma  notturna, silente e tremenda,
giaggioli a distesa levavano  un caldo profumo,
fluttuavano incerte le ombre che grande vigore infrangeva,
gonfio era il mare, oltre quella distesa, di ostile fragore.

Ritornavo. E la nave „Daland“ scivolava, l’immagine
sua lenta contemplando come fosse Narciso.
Desideri di gloria mi turbavano e pensavo
a un velo di donna serbato tra pallidi fiori.

Sulla nave „Daland“ ritornavo alla mia terra:
il cuore aveva affidato la tristezza  al conforto della luna.
Ma l’antico cammino più non conduceva alla vecchia dimora,
non so: avevo una patria o era soltanto un ricordo?

Dal passato  il  tormentoso fantasma mi  ricordava
e Mosca, e Pietrogrado, e Lenin, e il Cremlino…
Fendeva  mgrave  la  nave „Daland“ le Mar Nero
e dai miei occhi scendevano lacrime lievi di addio.


ANZITUTTO POESIA
პოეზია უპირველეს ყოვლისა!

Anzitutto poesia,
cioè un’anima più biancà che neve,
una coscienza fedele
ad una gioia sola.
A metà via non m’hanno visto stanco:
è la lotta una luce
più chiara e lunga di una vechhia chiesa.
avvolgere di canzoni,
fitte di quanto a noi scalda la luce,
il mondo. La poesia anzitutto,
poi, se non mi lusinga
questa terra, la morte:
una morte felice di poeta,
sonora di canzoni.


IL VENTO
ქარი ჰქრის...

Il vento, senti, spira, grida e gira…
Di vento in vento volteggiano le foglie.
Lunghe file d’alberi, eserciti ricurvi…
Ma tu dove sei, dove sei, dove sei?
Come piove, com’è bianca questa neve,
metr’io ti cerco in ogni dove, e invano.
L’immagine tua mi segue, mi perseguita
ogni istante, ogni ora, ogni giorno.
Il cielo filtra nebbie di pensieri
e il vento spira, volteggia, grida, gira…


CIMITERI
სასაფლაონი

Un sarcofago aperto, una mummia si leva, l’azzurro silenzio è di seta.
Geme caldo caldo il deserto, le orchidee hanno rifugio nell’acqua del Nilo.
L’anima non si arrende alla sabbia, deve trovare la tomba di Ramses Secondo.
Fu re, ora è polvere, al volger dei secoli nulla resta:
l’indifferenza è il rifiuto dell’ipocrisia, percio è polvere, e niente di più.
Sole o tempesta di sabbia, la mummia ci segna l’andare del tempo.


NON LASCIARE I VERSI
ნუ მიატოვებ ლექსს უთვისტომოდ

Non solo il corso degli anni,
anche l’attimo è reciso, e ora
vibra di voce acuta. Non lasciare
i versi fuori del tempo e della lotta!
Molti sono imbrattati di polvere e limo,
altri hanno il passo incerto del bambino…
Bisogna camminare con il tempo! Con orgoglio,
scrivi sotto i tuoi versi quest’ora.
Non solo il corso degli anni,
anche il verso modesto è scandito
dalla lotta di classe che la bandiera
di quest’epoca illumina di luce chiara.
È il tempo dei simboli del lavoro,
è  il tempo che apre la via al nuovo,
è  il tempo delle grandi conquiste.
Non solo il corso degli anni,
anche l’attimo e reciso, e ora
vibra di voce acuta. Non lasciare
I versi fuori del tempo e della lotta!


L’ ULTIMO TRENO
უკანასკნელი მატარებელი

Grave come il carro della vita,
tra poco partirà questo treno,
e insieme se ne andrà la mia anima,
la dolce stella del mio destino.

Io so come chiamare questa partenza
ma ora la pena mi offusca la memoria.
Posso mai attendere da questo treno
parole di sollievo, e di conforto?

Il treno è  immobile come un volcano,
tra pochi istanti partirà questo treno.
È l’ora: l’accompagnatore si scosta lontano,
tra pochi istanti partirà  questo treno.

Odo stridere le ruote, si muove,
l’inseguo, ma mi soffoca il dolore,
per sempre ti porterà via questo treno,
per sempre ti porterò con me, amore.

Anche la speranza mi ha ormai abbandonato,
Dio, perche è tanto crudele il destino?
Perchè per la vita il poeta è condannato
a patire del distacco l’amaro confine?


NIKORCMINDA
ქებათა ქება ნიკორწმინდას

Solo per me risplende
un magnifico raggio:
un’ode voglio cantare
con la mia lira gentile.
Solida l’ha costruita,
il maestro che l’ha costruita,
dal cielo incoronata,
la grande Nikorcminda.

Immagini d’incanto
scolpite nella pietra,
una trama composta
di soffici ornamenti;
io invidio chi l’ha innalzata,
quale mano l’ha innalzata,
la nobile Nicorcminda.

Un tesoro possediamo,
smisurato e immortale:
un’armonia di pietre!
Il sole brilla intorno,
oh, come l’ha intagliata,
il maestro che l’ha intagliata,
con saggezza ha intagliato
la vigorosa Nikorcminda.

Queste volte possenti
all’abbracio delle colonne
sono astutamente unite
dal  capriccio di un sogno!
Beato colui che ha creato,
quale genio ha creato,
e che prezioso bene ha creato,
il monumento Nikorcminda.

Dodici finestroni,
rischiarati dai lumi
votivi della Candelora,
esaltano la sua grandezza.
lo invidio chi ha infiammato,
e agli anni ha affidato,
l’ardente Nikorcminda.

Vedo una spirale senza fine
di pietra straordinaria
che il tempo ha avvolto
con un diadema di venerazione.
Quale ignoto ha decorato,
e in che maniera ha decorato,
solennemente ha celebrato,
la splendida  Nikorcminda.

Una precisione flessibile
di linee e curve,
insieme stanno fusi
il desiderio e la forma.
Ed è questa precisione
il segreto della sua Potenza
per la solida presenza
del tempio Nikorcminda.

Sorta  dal popolo
ti elevi tra le nubi,
la gola della tua cupola
è un faro di luce
che irradia all’inforno.
L’azzurro tu cerchi,
Con mitezza Io cerchi.
bella Nikorcminda.

Dà  forma al vuoto
la tua bellezza Georgiana,
da sempre custodita
dall’alato grifone.
Ali, invochi le ali,
vuoi librarti nell’aria,
hai sete di vuoto,
spaziosa Nikorcminda.

Per te, bianca colomba
che da tempo ci proteggi,
la nostra giovane era
sarà  prodiga di cure.
Perchè un’arte possente,
arte del popolo è la tua:
a gloria della Georgia
risplendi, Nikorcminda!


*  *  *  Te ne vai… e  porti con te il dolore,
* * * შენ ემართლები მიმქრალ სახეებს...

Te ne vai… e  porti con te il dolore,
come a falciare l’erba in riva al mare.
Chi ha parlato della tua morte?
No, proprio oggi tu sei nato.

Te ne vai… e per te sono vane
le lusinghe della terra e del cielo.
Chi ha detto che sei infelice?
No, oggi è il giorno della tua felicità.

Te ne vai… possa il viaggio aver successo:
una nuova dimora sembrava una favola.
Chi ha ditto che non hai una casa?
No, proprio oggi hai trovato un rifugio.

Te ne vai… il tuo destino è da molti
invidiato come bella e unica fatalità.
Nello spazio hai un  alloggio finalmente,
tu sei l’inquilino dell’immortalità.